Sito a cura del Dott. Salvatore Pollina
Tecniche invasive di diagnosi prenatale. Villocentesi - Amniocentesi.
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Con il progresso delle tecniche di diagnosi prenatale invasive e con la
possibilità di un accesso diretto ai tessuti ed alla circolazione fetale, è attualmente
possibile l'applicazione dei principi della medicina al feto, che già deve essere
considerato come un paziente, anche se "dentro" un altro paziente. Per questo
motivo lo studio di una anomalia fetale deve essere sempre eseguito nella consapevolezza
del reale beneficio che possono ottenere il feto e la madre o nella eventualità di una
razionale terapia in utero, a fronte dei rischi legati alla procedura. L'età materna
avanzata è l'indicazione più frequente all'esecuzione di una procedura invasiva per lo
studio del cariotipo fetale, mentre la ricerca di alterazioni di un singolo gene ha
notevole rilevanza soprattutto in particolari ragioni o presso determinati gruppi etnici.
Oggi è possibile selezionare gravidanze con rischio aumentato di cromosomopatia da
avviare alla diagnosi prenatale invasiva: nel primo trimestre con lo screening ecografico
tramite la misurazione della "fetal nuchal translucency" e con lo screening
sierologico, nel secondo trimestre tramite il Triplo Test. In occasione del counselling genetico, che deve essere sempre informativo e mai direttivo, l'ostetrico espone alla coppia a rischio le diverse procedure, illustrando chiaramente le caratteristiche più importanti: l'accuratezza diagnostica per la malattia da indagare e la sicurezza per il feto, in termini di morbilità e di perdita fetale. Quest'ultima è legata anche all'esperienza specifica dell'operatore, alle caratteristiche della gravidanza (per esempio gemellarità e patologia utero-annessiale) e all'epoca in cui viene eseguito il prelievo. Uno dei fattori più importanti che influenza la scelta della coppia è l'epoca del prelievo. Sicuramente la precocità dell'intervento porta ad una notevole riduzione dell'ansia di attesa, e riduce i traumi fisici e psicologici di un eventuale interruzione terapeutica della gravidanza effettuata in epoca di gestazionale più tardiva. Per questi motivi la richiesta di tecniche sempre più precoci è destinata ad aumentare, soprattutto nelle gravidanze a rischio genetico elevato (per esempio talassemia, fibrosi cistica, emofilia, Duchenne), o quando la coppia sia reduce da precedenti esperienze negative. Attualmente le principali tecniche invasive di diagnosi prenatale possono essere effettuate nella fase del preconcepimento e del preimpianto, oppure nel post-impianto; alcune sono ancora in fase sperimentale, altre sono di applicazione routinaria. Benchè siano ormai nati circa 200 bambini sani dopo diagnosi preconcepimento o preimpianto questo tipo di analisi genetica, che evita l'interruzione terapeutica della gravidanza in caso di esito di feto malato dopo diagnosi prenatale tradizionale, è da considerarsi ancora allo stadio sperimentale, ed è stata applicata solo in pochi centri al mondo. Infatti, l'utilizzo di tecniche di fecondazione in vitro, di micromanipolazione e dell'analisi genetica di una singola cellula ed i costi molto alti ne limitano ancora una larga diffusione. In attesa che la diagnosi preimpianto possa diventare routinaria, le tecniche di diagnosi prenatale invasiva più comunemente applicate sono costituite dalla villocentesi (decima-dodicesima settimana), dall'amniocentesi (sedicesima-diciottesima settimana) e dalla cordocentesi (diciottesima-ventiduesima settimana). Tra tutte la villocentesi o prelievo dei villi coriali per via transaddominale (TA-CVS) è la metodica che può essere eseguita in epoca di gravidanza più precoce, oltre che in qualsiasi altra epoca gestazionale (dalla sesta alla quarantesima settimana). È stato largamente dimostrato che, se effettuata con tecnica adeguata dopo la decima settimana di gravidanza in centri di provata esperienza, la villocentesi non porta ad un aumentato rischio di malformazioni fetali. La villocentesi, per quanto riguarda la diagnosi di malattie genetiche legate al DNA, è senza dubbio da preferire all'amniocentesi, per la precocità, per la maggior accuratezza diagnostica e per il basso rischio di perdite fetali. Invece per l'analisi del cariotipo fetale è ancora dibattuta quale sia la tecnica di scelta tra villocentesi e amniocentesi tradizionale alla sedicesima settimana. La determinazione del cariotipo fetale mediante villocentesi presenta un rischio di falsi positivi del 1-2% mentre con l'amniocentesi tale rischio e dello 0,25-0,5%. Non sono riportati falsi negativi nè con l'amniocentesi nè con la villocentesi, utilizzando l'analisi diretta insieme alla coltura cellulare dei villi coriali. Il rischio di perdita fetale legato alla procedura è equivalente per le due metodiche di prelievo (intorno all' 1%). In centri che eseguono entrambe le tecniche, l'utilizzo di una metodica rispetto all'altra dipende dall'esperienza dell'operatore e dall'accuratezza diagnostica del laboratorio e, naturalmente, dalla scelta della coppia informata sui risultati del centro e di quelli riportati in letteratura. La possibilità di eseguire l'amniocentesi cosiddetta precocissima (decima-quattordicesima settimana) non ha trovato larga diffusione e unanimi consensi, per i rischi di abortività, di malformazioni fetali e di insuccessi diagnostici considerati ancora troppo alti rispetto alla villocentesi ed alla amniocentesi tradizionale. La cordocentesi è un'altra tecnica di diagnosi prenatale indispensabile per l'individuazione di alcune anomalie fetali, che deve far parte dell'armamentario diagnostico dell'ostetrico operante in un centro di medicina fetale. Per la sua maggiore invasività, per gli insuccessi di prelievo e per l'aumentato rischio di aborto (2-3%), la sua utilizzazione è limitata alla determinazione rapida del cariotipo nelle malformazioni fetali, alla verifica dei mosaicismi e dei fallimenti colturali dopo villocentesi ed amniocentesi, alla valutazione dei ritardi di crescita fetale, all' emogasanalisi, alla diagnosi di alcune rare anomalie come le piastrinopenie, le anemie emolitiche ed alcune malattie infettive. Recentemente è stata introdotta una nuova versione del fetoscopio, strumento che utilizza fibre ottiche, già diffusamente utilizzato alla fine degli anni 70 nel secondo trimestre di gravidanza. Attualmente le ridotte dimensioni dello strumento ne rendono possibile l'impiego alla fine del primo trimestre consentendo oltre alla visione diretta di malformazioni fetali, anche la possibilità di eseguire prelievi di tessuti e di praticare interventi di terapia chirurgica del feto. I rischi di tale metodica però richiedono ancora una attenta valutazione. All'inizio degli anni '90, sono state introdotte altre tecniche di prelievo e di analisi quali l'embrioscopia, la celocentesi ed il prelievo di cellule fetali dal canale cervicale ma, dopo i primi entusiasmi, a distanza di alcuni anni, non sono state ancora clinicamente applicate. I continui progressi delle apparecchiature ecografiche, dell'analisi molecolare e citogenetica, offrono la possibilità di eseguire diagnosi sempre più precoci e dettagliate, e la prospettiva della terapia fetale, con i trapianti in utero e la terapia genica, conferiscono un ruolo sempre più rilevante alla diagnosi prenatale. In tal modo anche le coppie ad alto rischio genetico potranno avere la possibilità di programmare e di affrontare più serenamente la gravidanza e, quindi, di realizzare il proprio progetto riproduttivo. Se i test di screening danno un'elevata percentuale di rischio, la gestante può eseguire gratuitamente ulteriori analisi, che danno una risposta sicura in 10-15 giorni. Il numero dei cromosomi del feto, infatti, può essere conosciuto con certezza tramite il prelievo e lo studio di cellule fetali, con le tecniche di diagnosi prenatale, introducendo nella placenta o nella cavità amniotica un ago sottilissimo, attraverso l'addome materno, sotto controllo ecografico. Il prelievo delle cellule della placenta (villocentesi) può essere eseguito nel primo trimestre (a 10-12 settimane); il prelievo di liquido amniotico (amniocentesi) può essere invece effettuato tra la quindicesima e la diciottesima settimana. Infine, il sangue fetale può essere prelevato direttamente dal cordone ombelicale (cordocentesi) intorno alla ventesima settimana. Queste tecniche, però, sono costose e non prive di rischi per il feto, in quanto in rari casi possono provocare il rischio di aborto. Per questo nelle strutture pubbliche la diagnosi prenatale invasiva è prevista gratuitamente solo per le gestanti ritenute più a rischio. È una procedura che consente di prelevare una piccola quantità di liquido amniotico dal sacco gestazionale in cui è contenuto il feto. Il prelievo viene eseguito per mezzo di un sottile ago, di lunghezza adeguata, che viene inserito attraverso l'addome materno fino ad arrivare dentro il sacco amniotico. Il percorso dell'ago è seguito ecograficamente in modo da raggiungere una falda di liquido amniotico senza avere contatto con il feto. Questa tecnica causa un rischio di aborto che ha un'incidenza dello 0, 5%-0, 7%; per tale motivo viene consigliato un periodo di riposo unitamente ad una terapia protettiva nei giorni successivi all'esame. Il liquido prelevato viene successivamente trattato il laboratorio con tecniche che stimolano la moltiplicazione delle cellule presenti. Tali cellule sono "fetali", cioè provenienti dalla cute e da altri organi fetali (prevalentemente apparato respiratorio ed urinario). L'amniocentesi darà informazioni solo ed esclusivamente sull'assetto cromosomico (cioè il numero e la struttura grossolana dei cromosomi) e servirà quindi soltanto ad avere notizie sulle patologie legate ad alterazioni del numero e della struttura dei cromosomi stessi. Non sarà possibile quindi avere notizie su quelle malattie che non sono causate o non sono associate ad alterazioni del corredo cromosomico. Il periodo di gravidanza in cui è possibile eseguire l'amniocentesi è compreso fra la quindicesima e la diciottesima settimana di gravidanza (con datazione ecografiche) periodo in cui si ha il minore pericolo di aborto e la maggiore probabilità di successo della cultura cellulare. L'esame è ambulatoriale, causa un minimo dolore (pari a quello di una iniezione intramuscolo), non viene eseguito in anestesia e non necessita di digiuno. È opportuno prevedere un periodo di riposo di circa una settimana a partire dal giorno di esecuzione della amniocentesi. Il riposo deve essere tanto più osservato quanto più è presente dolenzia pelvica dopo l'esame. La presenza di dolori simili a quelli mestruali, intensi, fastidiosi e persistenti specialmente se associati a sanguinamento impongono comunque un controllo ostetrico, clinico o ecografico. L'esito si ha dopo venti giorni e può essere ritirato presso il Laboratorio di Citogenetica previi accordi telefonici. I cromosomi, anche se sono sempre presenti all'interno del nucleo cellulare, si rendono evidenti solo ed esclusivamente durante la fase di crescita e duplicazione delle cellule, consentendo quindi, solo in questa fase, lo studio della loro struttura e l'analisi del loro numero. Se, per vari motivi, le cellule in coltura non si moltiplicano non è quindi possibile effettuare l'analisi cromosomica ed è quindi impossibile dare un esito; questa evenienza occorre nel 3% dei casi e non è indice di patologia fetale ed in questo caso si rende necessario ripetere il prelievo (una nuova amniocentesi o una cordocentesi). L'esito fornito dal laboratorio, ha una sicurezza del 99%, poiché, come in ogni esame di laboratorio, vi è una minima possibilità di errore.
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